Il libro deve probabilmente esser la raccolta di articoli scritti
sulla scuola, e purtroppo ciò appesantisce a volte il discorso poiché i brevi
capitoletti seguono un ordine tematico (uno/due capitoletti sul bullismo, due/tre
sull’arrivo dell’estate e il dilemma compiti sì o no, ecc…), ma purtroppo nei
diversi capitoletti spesso gli argomenti si ripetono, mentre sarebbe stato
meglio trattare l’argomento in un unico capitolo, in modo completo e unitario.
In linea generale sul libro pesa un po’ il moralismo contro
la società della televisione: l’argomentazione è sempre la stessa e cioè che la
tv che ha rovinato la società, dominata dalla faciloneria e dalla sicumera del
successo. Idee abbastanza condivisibili anche se apparentemente un po’
superficiali e buttate lì più come chiacchiera da bar.
Nel libro ci sono però alcune parti più narrative che mi
sono piaciute molto, soprattutto perché mi hanno lasciato libera di lasciar
sbocciare pensieri personali. Le/li descrivo
qua di seguito.
Molto bella la descrizione degli scrutini e della valutazione degli studenti come
specchio della personalità dei docenti: “Alla fine ognuno ha raccontato
poco e niente della classe e moltissimo di se stesso. I numeri sono pennellate
di un autoritratto, luci e ombre di uno specchio fedele” (p. 51). Una descrizione
che porta a una riflessione interessante sul proprio modello valutativo e su
cosa rappresenta di noi, dei nostri valori, della nostra idea di istruzione,
ecc…
Interessante anche la descrizione dell’esame pratico delle
alunne dell’indirizzo di moda: “loro, che nei temi di italiano faticano a riempire
di parole due colonne di foglio protocollo, se la cavano alla grande con
matite, pennarelli, forbici, sanno
pensare al presente e immaginare al futuro partendo da un manichino da
vestire.” (p. 76-77). Lodoli ci ricorda come “il pensiero non passa
obbligatoriamente attraverso libri e dibattiti, che ogni pazienza permette di arrivare al cuore delle cose. […] La cura, l’attenzione, l’impegno per
trasformare un’idea vaga in una cosa reale, per tradurre un pensiero in un
gesto esatto: sono attitudini che ne nostro tempo blaterone interessano
sempre meno. […] Le mie ragazze sanno ciò che fanno e lo fanno bene”. Senza
scomodare Gardner e le intelligenze multiple, questo insegnamento è sempre da
tenere sotto gli occhi, soprattutto noi docenti letterati: ci sono molti
percorsi per l’acquisizione delle competenze e bisogna aiutare gli studenti a
scoprire i propri.
Un’altra pagina che mi voglio appuntare è quella che
commenta la vicenda di “un biglietto osceno infilato nella borsa di una
professoressa” (p. 124-125): Lodoli sottolinea come stia venendo a mancare il processo
di responsabilizzazione dei ragazzi, sempre scusati o troppo presto perdonati,
privati così della possibilità di “incontrare il limite, il confine, la sbarra,
[della possibilità di] costruirsi la volontà e le motivazioni profonde per
scavalcare, se serve, quel limite. Per
contestare un professore o un genitore bisogna affrontare una sfida morale e intellettuale,
bisogna avere la forza per controbattere, per far valere le proprie ragioni,
anche per provocare: è la dialettica tra le generazioni, il motore del mondo. Un fiammifero si accende solo contro un
muro, nel vuoto s’inumidisce e non brucerà e non illuminerà mai niente.”
Un’altra notizia interessante da cui trae pensieri che fan
riflettere è la notizia di alcune classi formate da soli alunni ripetenti.
Lodoli, paragonando quelle classi alla galera, che purtroppo spesso rende
peggiore chi la subisce, sottolinea come invece sia l’incentivo di una nuova
sfida, di compagni più piccoli ma più preparati a far fare, talvolta, uno
scatto di orgoglio nei ragazzi. Un
ambiente povero di stimoli non può stimolare ragazzi che così
dimenticherebbero “che possono ancora galoppare e saltare alla grande gli
ostacoli” (p. 129).
Una riflessione triste l’ho fatta leggendo invece la
descrizione dello stato d’animo del professore che ascolta i maturati sognare
la nuova vita, terminato il liceo: “I professori sorridono, approvano e già
sentono la tanaglia che gli stringe il cuore. Tutto passa, anche questi ragazzi
vanno via. Solo noi ricominceremo tutto da capo, a settembre, con venti bambini
sbarcati dalle medie, e tutto sarà
uguale come sempre” (p. 146). Se mai arriverò a lavorare per anni in uno
stesso luogo riprenderò in mano queste parole che al momento mi fanno solo
rabbia e pena: mi piace infatti pensare
che il professore non dovrebbe vivere la routine scolastica come un masso di
Sisifo; gli studenti cambiano, cambiano le sfide; cambia il docente stesso
perché cambia la didattica, che può essere migliorabile; cambia la società attorno,
che può essere linfa nuova per la propria didattica. Questa idea dell’insegnante
sempre fermo a vedere passare il fiume mi mette molta tristezza.
Interessante anche la riflessione seguente sui compiti delle
vacanze. Ne sono sempre stata una sostenitrice, anche se non accanita, ma
Lodoli con poche immagini mi ha dato nuovi spunti su cui riflettere: per quanto
si possano dare compiti ai ragazzi, “l’estate è il loro regno, e i professori
restano bloccati ai confini. Per ogni ragazzo questo è un tempo destinato ad
altre forme di crescita, allo sport, all’amicizia, all’amore. Qualche compagno
[….] magari […] gli parlerà di un poeta che gli
è piaciuto tanto. Tutto accadrà seguendo la logica imprevedibile e
magica dell’adolescenza. E’ meglio che
la scuola si concentri sui suoi nove mesi, che sono tanti, se usati bene”
(p. 147-148). Per la serie: se non lo hai fatto appassionare alla lettura in
nove mesi cosa speri che possa fare da solo in tre? Resta il dubbio dell’allenamento
mentale, ma ci rifletterò!
Belle anche le pagine sull’importanza della noia (p. 152-153), che – nonostante sia oggi, ricorda
Lodoli, considerata un delitto capitale dalla società del perenne divertimento –
è in realtà dominante soprattutto nell’adolescenza: “la vita è fatta di tempi
morti, di zone deserte dove pare non accada niente, di lunghi pomeriggi
solitari” (anche se mi chiedo se sia anche oggi così, all’epoca delle chat e di
what’sApp). Lodoli sottolinea l’importanza di questi momenti, poiché “E’ in questi momenti immobili che nasce una
consapevolezza nuova [nascono] tanti pensieri sull’amore, su noi stessi,
pensieri che ci hanno modificato. […] Non trascuriamo il valore degli attimi di
ristagno. In quelle pause un ragazzo
nota altre cose, che stanno nella scuola e sono insegnamenti preziosi anche
se non fanno parte di nessun programma ministeriale. Nota le scarpe sformate
del professore che spiega al vento [….] scopre
all’improvviso la propria malinconia, la propria inadeguatezza, l’insofferenza,
e da quelle verità riparte.”
Infine interessante la riflessione sul carattere rovinoso
della Facilità a tutti i costi, che –
a differenza della Semplicità,
definita da Brancusi come una “complessità risolta” – porta ad una cultura dove
si evita “ogni fatica, ogni peso, ogni difficoltà” (p.156-158), crescendo
ragazzi che ignorano “quanto la vita è dura, che tutto costa fatica e che per
ottenere un risultato anche minimo bisogna impegnarsi a fondo […] “Le cose non
sono difficili a farsi, ma noi, mettere noi nello stato di farle, questo sì è
difficile” scriveva ancora Brancusi. Mettere noi stessi nello stato di poter
affrontare la vita meglio che si può, di fare un mestiere per bene, […], questo
è proprio difficile, ed è necessario prepararsi per anni, prepararsi sempre.”.
Bella in particolare la riflessione sulla fatica del cambiamento: “E se
addirittura volessimo avanzare di un palmo nella conoscenza di noi stessi e del
mondo, trasformarci in essere appena
migliori, più consapevoli e sereni, dovremmo ricordarci la fatica e la pena che
ogni metamorfosi pretende, come insegnano i miti classici, le vite degli
uomini grandi, le parole e le posizioni dei monaci orientali”. Il tema si
collega alle pagine seguenti, nelle quali una ragazza spiega come i soldi siano
la nuova strada per vivere fuori dalla realtà: la realtà è la povertà quindi
una vita da nababbo è una vita da “sogno” nel vero senso della parola: non
reale neanche per chi la vive. “Beati gli ultimi” – conclude Lodoli – “perché solo
loro è il regno della realtà” (p. 161).
In sostanza, un libro con molti stimoli interessanti, anche
se un po’ annacquati, Sono contenta di averlo letto, ma anche di averlo preso
in biblioteca!